Nel corso del 2019 la comunità scientifica ha ripetutamente lanciato l’allarme per l’emergenza climatica. Gli scienziati e la maggior parte dei governi hanno concordato sul fatto che il mondo stia affrontando una crisi ambientale senza precedenti, con temperature globali che continuano ad aumentare. Si è preso atto che la sopravvivenza degli esseri umani dipenda da ecosistemi sani e che nel 2020 si renderà necessaria, se non obbligatoria, l’adozione di azioni urgenti volte a ridurre drasticamente le emissioni di CO2, considerate le principali responsabili dell’effetto serra e del cambiamento climatico, per portare il mondo sulla strada giusta per un futuro sostenibile.

Ripercorriamo le tappe essenziali che si sono succedute a livello internazionale nel corso del 2019 dopo che il 4 novembre l’amministrazione Trump ha notificato all’ONU la sua richiesta di uscire dall’accordo sul clima di Parigi, primo atto di un processo che si concluderà il 4 novembre del 2020, giorno successivo all’Election Day Usa.

Il Rapporto sul divario di emissioni UNEP 2019

Ogni anno l’UNEP – il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, organizzazione internazionale che dal 1972 opera contro i cambiamenti climatici a favore della tutela dell’ambiente e dell’uso sostenibile delle risorse naturali – esamina le emissioni effettive di gas a effetto serra e il divario tra queste e quelle previste sulla base degli impegni derivati dall’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici. Tali impegni, noti come NDC (dall’inglese “Nationally Determined Contributions” contributi determinati a livello nazionale), sono gli obiettivi climatici che le Nazioni si sono date, a seguito degli accordi di Parigi, in maniera autonoma e volontaria, per contribuire a mantenere la crescita della temperatura globale entro i 2 °C.

Inoltre, il Rapporto UNEP, nel prendere nota dei progressi o meno che i Paesi stanno compiendo nel colmare tale divario, individua i tagli annuali nelle emissioni di CO2 e le strategie da adottare con le relative tempistiche in particolare nei settori dell’energia, dei trasporti e degli edifici, dell’efficienza nell’uso di materiali come ferro, acciaio e cemento.

Limitare il riscaldamento globale a 1,5° C

Nel Rapporto 2019 pubblicato il 26 novembre l’UNEP ha lanciato un allarme avvisando che “siamo sull’orlo di perdere l’opportunità di limitare il riscaldamento globale di 1,5° C” e che “se facciamo affidamento solo sugli attuali impegni climatici dell’accordo di Parigi, le temperature potrebbero salire in questo secolo di 3,2° C ”. Dalla analisi dei diversi scenari considerati in funzione delle politiche climatiche adottate dalle nazioni firmatarie, l’UNEP mette in evidenza il fatto che la politica climatica mondiale complessiva sta fallendo e che non c’è più tempo. Per evitare un aumento della temperatura maggiore di 1,5° C entro il 2100 , le nostre emissioni totali dovranno rimanere al di sotto di 25 gigatoni di CO2 equivalente ma i governi non stanno facendo abbastanza.

Ma perché nel Rapporto 2019 è considerato così importante limitare l’aumento della temperatura a 1,5° C?

Anche se ci saranno comunque impatti climatici negativi con un aumento di 1.5° C, gli scienziati ritengono che questi saranno meno devastanti rispetto a livelli più alti di riscaldamento globale. Ogni frazione di riscaldamento aggiuntivo oltre 1,5° C avrà conseguenze peggiori, minacciando vite, mezzi di sussistenza ed economie.

Alcuni esempi. A 1,5° C oltre il 70% delle barriere coralline morirà, ma a 2° C praticamente tutte le barriere coralline andranno perse. Gli insetti – fondamentali per l’impollinazione di colture e piante – rischiano di perdere metà del loro habitat a 1,5° C, ma a 2° C le probabilità che ciò accada diventano il doppio. Oltre 6 milioni di persone vivono attualmente in zone costiere vulnerabili all’innalzamento del livello del mare e una differenza di aumento delle temperature da 1,5° C gradi a 2° C influenzerebbe il destino di altri 10 milioni di persone entro la fine di questo secolo. E ancora, con un innalzamento delle temperature al di sopra di 1,5° C la frequenza e l’intensità di siccità, tempeste ed eventi meteorologici estremi sono estremamente più probabili.

Ridurre del 7,6% anno le emissioni di CO2 nel prossimo decennio

La pagella finale del Rapporto 2019 ci dice che le politiche e le azioni adottate dai Paesi non sono sufficienti. In particolare secondo l’UNEP quattro sono i numeri che tengono in equilibrio il destino di tanti:

  • 1,5 ° C
    Oggi abbiamo ancora la possibilità di limitare l’aumento delle temperature globali a 1,5 ° C, con tale aumento anche se ci saranno comunque impatti climatici questi saranno meno devastanti rispetto a livelli più alti di riscaldamento globale. Ogni frazione di riscaldamento aggiuntivo oltre 1,5 ° C comporterà impatti sempre più gravi e costosi.
  • 25 Gt CO 2
    Per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 ° C, entro il 2030 le emissioni devono scendere rapidamente a 25 gigatoni.
  • 56 Gt CO 2
    Sulla base degli impegni odierni, le emissioni sono sulla “buona” strada per raggiungere 56 gigatoni di CO2 entro il 2030, oltre il doppio di quello che dovrebbero essere.
  • 7,6%
    Per limitare il riscaldamento globale a 1.5°C è necessario che gli impegni, le politiche e le azioni garantiscano una riduzione delle emissioni del 7,6% ogni anno tra il 2020 e il 2030

E mantenere l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature a 1,5° C sta per diventare impossibile. Siamo per condannare irrimediabilmente l’umanità a un futuro pieno di gravi conseguenze derivanti dal cambiamento climatico. Secondo l’UNEP i Paesi non possono aspettare e devono fare molto di più, a partire da ora.

E’ necessario colmare il divario di “impegno” tra ciò che diciamo che faremo e ciò che dobbiamo fare per prevenire livelli pericolosi di cambiamento climatico. I governi non possono permettersi di aspettare. Le persone e le famiglie non possono permettersi di aspettare. Le economie devono ora passare a un percorso di decarbonizzazione.

2019, l’UE e l’accordo di Parigi: verso la neutralità climatica

Il 28 novembre 2019, il Parlamento europeo, precedendo la Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico di Madrid, ha adottato due importanti risoluzioni per il clima. In una prima ha fissato la neutralità climatica entro il 2050 come obiettivo a lungo termine nell’ambito dell’accordo di Parigi e ha aumentato gli obiettivi di riduzione delle emissioni fino al 55% entro il 2030. In una seconda risoluzione ha dichiarato l’emergenza climatica in Europa.

L’accordo di Parigi, firmato nel 2015 a seguito della COP21 da 194 Paesi e dall’UE, prevedeva che ogni cinque anni i paese aderenti dovessero fissare nuovi obiettivi (NDC) per i loro sforzi in materia di clima, aumentando nel tempo il loro livello di ambizione. Tali obiettivi dovevano essere dunque rivisti ed aggiornati da tutti i firmatari entro la fine del 2020.

Con queste risoluzioni l’UE è stata la prima grande economia a presentare il proprio nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni nel quadro dell’accordo di Parigi. L’obiettivo attuale dell’UE è ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia c’è sempre più pressione per la creazione di obiettivi più ambiziosi. Il 92% degli Europei infatti concorda sul fatto che le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte al minimo, controbilanciando al contempo le emissioni rimanenti, al fine di rendere l’economia dell’UE neutrale dal punto di vista climatico. Manifestazioni giovanili globali, scioperi scolastici per il clima iniziati dall’attivista svedese Greta Thunberg, e un sondaggio Eurobarometro del 2019 mostrano positivamente che gli Europei sono disposti a rafforzare gli obiettivi climatici.

2019, la 25a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici

Tra il 2 e il 13 dicembre 2019 si è tenuta a Madrid la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. La COP della UNFCCC (Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) si riunisce ogni anno per discutere su come raggiungere gli obiettivi delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Giunta alla sua venticinquesima edizione la COP25 ha visto la partecipazione di più di 190 nazioni, dagli Stati Uniti alla Cina e dai membri dell’Unione Europea ai più piccoli stati insulari. In questa edizione l’obiettivo era quello di arrivare ad accordi pratici su alcune tematiche fondamentali volte a completare i dettagli tecnici dell’accordo di Parigi.

Sebbene durante la COP25 buone notizie siano arrivate dall’Unione europea che ha dimostrato la volontà politica di raggiungere zero emissioni di CO2 entro il 2050 e molti Paesi extra EU abbiano concordato obiettivi simili a lungo termine, altri Paesi con importanti emissioni di CO2 hanno frenato il raggiungimento di un accordo durante la Conferenza. E in tale contesto è opportuno ricordare come da un lato i paesi industrializzati del G20 (un gruppo di 19 paesi, più l’UE) rappresentano quasi l’80% di tutte le emissioni di CO2 e dall’altro che ben 15 Paesi membri del G20 non si sono ancora impegnati nella adozione di una linea temporale per le emissioni nette zero.

A diversi giorni dalla chiusura della Conferenza COP25 una valutazione onesta e realistica di ciò che è accaduto porta a riconoscere una generale delusione dei risultati ottenuti in quanto, sebbene non ci si aspettasse che la conferenza producesse un importante passo avanti sui nuovi obiettivi di emissione, sarebbe stata un’importante opportunità per completare i dettagli tecnici dell’accordo di Parigi.
E infatti i governi, che si erano riuniti per rispondere alle crescenti preoccupazioni sollevate della crisi climatica, pur riconoscendo l’urgenza dell’azione per il clima, non sono stati in grado di accordarsi su questioni fondamentali quali quello del funzionamento dei mercati globali del carbonio che determina il modo in cui i Paesi possono scambiare i propri “carbon credits” e quindi migliorare l’efficacia degli investimenti in azioni per il clima in termini di costi. Quindi, dopo che il consenso si è rivelato difficile da raggiungere, le questioni critiche sono state rimandate al prossimo anno.

Come ha dichiarato Patricia Espinosa, segretario esecutivo dell’UNFCCC sull’esito della COP25: “I paesi sviluppati devono ancora rispondere pienamente alle richieste dei paesi in via di sviluppo per un maggiore sostegno nel settore finanziario, tecnologico e di sviluppo delle capacità, senza il quale non possono rendere verdi le loro economie e costruire un’adeguata resilienza ai cambiamenti climatici. I paesi ad alta emissione non hanno inviato un segnale sufficientemente chiaro di essere pronti a migliorare le proprie strategie climatiche e ad accrescere l’ambizione attraverso gli NDC a livello nazionale che presenteranno l’anno prossimo”. E ancora: “Mentre ci dirigiamo verso la conferenza COP26 sui cambiamenti climatici dell’ONU a Glasgow, dobbiamo essere uniti e lavorare in un vero spirito di multilateralismo inclusivo al fine di realizzare le promesse dell’Accordo di Parigi e della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”.

2020, la 26a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Glasgow

Dunque il 2020 sarà un anno cruciale per l’ambiente e le misure da adottare a livello mondiale per limitare i danni del cambiamento climatico dovuto alle emissioni dei gas serra. Un anno in cui importanti incontri internazionali stabiliranno il tono e l’agenda dell’azione ambientale nel prossimo decennio. Una sorta di punto di non ritorno.
La maggior parte delle nazioni dovrà rafforzare i propri impegni sul clima nel 2020. in particolare i Paesi aderenti all’accordo di Parigi del 2015 dovranno rivedere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni.

A fronte di tali questioni cruciali, all’ordine del giorno della COP26 che si terrà tra il 9 e il 20 novembre 2020 a Glasgow nel Regno Unito non solo si aggiungeranno le tematiche e i dettagli tecnici rimasti non risolti durante la COP25 ma si dovrà tener conto una volta per tutte del fatto che se le emissioni globali di gas serra non diminuiranno del 7,6 % ogni anno nel decennio compreso tra il 2020 e il 2030, il mondo perderà per sempre l’opportunità di raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5° C mentre restando le cose come sono si sta invece dirigendo verso un irreversibile aumento della temperatura di 3,2° C.

In tutto ciò il sostegno pubblico a forti politiche climatiche sta aumentando in tutto il mondo ed è motivo di ottimismo. A tal proposito la scienza è chiara e raggiunge più persone che mai: le emissioni di gas a effetto serra sono aumentate del 4% dall’accordo di Parigi firmato nel 2015 e questo costituisce una serie fonte di pericolo per i cambiamenti climatici.

Altro elemento positivo che sta emergendo è che anche l’industria si sta mobilitando: già durante la COP25 alla quale per la prima volta hanno partecipato i ministri delle finanze di vari Paesi si è parlato molto di crescita verde, opportunità verdi e lavori verdi. L’azione per il clima presenta opportunità economiche e socioeconomiche senza precedenti in più settori.

La speranza è che nella prossima conferenza sul clima l’Unione Europea prenda la guida dei lavori riuscendo ad imporre il proprio slancio e funga da traino per tutti i Paesi delle Nazioni Unite nelle azioni da adottare per contrastare il cambiamento climatico.

A cura di Gloria Perrella, redazione di Ancler