Parliamo spesso dei benefici delle foreste: il sequestro di carbonio, la protezione dal dissesto idrogeologico, il miglioramento della qualità dell’aria e dell’acqua, o ancora la produzione di risorse rinnovabili e pulite come il legno. Ognuno di questi benefici è “al top” in foreste che hanno specifiche caratteristiche: tipo e frequenza delle specie, densità e dimensioni degli alberi, velocità dei processi ecologici.

Una foresta che sequestra bene il carbonio, con alberi che crescono velocemente e vengono sostituti spesso per mantenere una efficienza elevata, potrebbe non essere l’habitat ideale per gli uccelli o gli insetti, che preferiscono invece piante grandi e meno giovani.

La gestione forestale sostenibile mira a dare a una foresta la “forma” più adatta a produrre i benefici desiderati – anche tagliando singoli alberi e facendone crescere altri, se necessario. Ma talvolta non è possibile ottenere tutti i benefici contemporaneamente, e occorre chiedersi quale siano quelli prioritari.

Come dovrebbe cambiare quindi la gestione di una foresta a seconda del beneficio che riteniamo più importante?

Se lo è chiesto un team di ricercatori coordinato dall’Università Tecnica di Monaco di Baviera. Per rispondere alla domanda, i ricercatori hanno utilizzato un modello matematico della crescita delle foreste (SILVA), e simulato più volte la crescita di un ettaro di bosco di faggio e abete rosso per un periodo di 120 anni. Le simulazioni hanno considerato ben 65.536 varianti differenti di gestione selvicolturale, ognuna caratterizzata da una diversa intensità o epoca di taglio e rinnovazione. Sono stati poi valutati i benefici prodotti dal bosco in ogni simulazione in termini di sequestro di carbonio, produzione di legno e ricarica della falda acquifera.

Quando al simulatore è stato chiesto di scegliere la specie più performante, l’abete rosso è risultato migliore del faggio quanto a produzione di legno e assorbimento di carbonio. Tuttavia, i modelli mostrano che nell’abete questi benefici sono più incostanti nel tempo, a causa della maggiore vulnerabilità di questa specie agli estremi climatici. Il faggio, al contrario, è più idoneo alla ricarica della falda acquifera, perché – soprattutto durante l’inverno – intercetta e traspira dalle sue foglie meno acqua rispetto alla conifera.

Per proteggere la foresta e i suoi benefici contro i rischi climatici, la strategia migliore è una combinazione di tagli precoci e tardivi: i primi per ringiovanire rapidamente il bosco ed i secondi per aumentare la quantità di carbonio assorbito e di legno prodotto (pur prolungando il pericolo di danni climatici). In altre parole, una gestione disetanea è vantaggiosa sia in termini economici che ecologici.

Quando il simulatore è stato programmato per tener conto degli effetti positivi della mescolanza tra le due specie, in genere associata ad una migliore resilienza e produttività, i risultati sono ulteriormente migliorati, suggerendo che la migliore soluzione possibile potrebbe essere una veriagata combinazione di specie ed età diverse degli alberi.

Una gestione selvicolturale eterogenea e complessa, coerente con i principi di selvicoltura naturalistica a copertura continua proposti ad esempio dall’associazione Pro Silva, assicura un processo di rinnovazione naturale costante nelle foreste centro-europee oggetto di studio, e genera la massima resilienza possibile rispetto ad eventuali eventi meteo-climatici estremi.

Fonte Sisef – Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale