La Corte di giustizia europea ha stabilito che tra il 2008 e il 2017, l’Italia ha violato in maniera sistematica e continuata i valori limite posti dall’UE sull’inquinamento dell’aria e che non ha adottato misure adeguate per la riduzione delle polveri sottili. Polveri che nel nostro Paese, secondo il Rapporto 2019 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente 2019 (EEA), costano la vita ogni anno ad almeno 60 mila persone. Ennesima testimonianza del prezzo che stiamo pagando per il ritardo negli interventi di protezione della salute dei cittadini.

La normativa europea sulla qualità dell’aria fa capo alla Direttiva 2008/50/CE secondo la quale i valori limite del PM10 per la protezione della salute umana devono rispettare un valore limite giornaliero di 50 µg/m3 da non superare più di 35 volte per anno civile, e un valore limite annuale di 40 µg/m3.

In un comunicato la Corte ha affermato che questi valori limite per il particolato PM10 sono stati regolarmente superati in quelle zone che erano state evidenziate dalla Commissione Europea nella procedura di infrazione avviata due anni fa.

I ventotto territori coinvolti nell’infrazione spaziano in dieci regioni italiane tra Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia.

E tra queste zone individuate dalla Commissione Europea, quella denominata IT1212 “Valle del Sacco” è l’unica tra tutte che, ogni anno tutti gli anni, nei dieci anni compresi tra il 2008 e il 2017 incluso, ha superato il valore limite giornaliero di 50 µg/m3 da non superare più di 35 volte in un anno e tra il 2008 e il 2016 il valore limite annuale di 40 µg/m3 posto per il PM 10. E mentre l’Oms nelle sue Linee guida sulla Qualità, dell’aria stabilendo valori anche più restrittivi per le polveri sottili, afferma che l’inquinamento atmosferico di particelle inferiori a 10 micron può depositarsi nei polmoni e quelle inferiori a 2,5 micron provocano un aumento della mortalità a causa di malattie cardiovascolari e respiratorie e tumori, nella provincia di Frosinone il Registro Tumori gestito dall’AIRT non risulta a tutt’oggi ancora accreditato.

Nel 2014, la Commissione europea aveva avviato nei confronti dell’Italia un procedimento per inadempimento nei confronti in ragione del superamento sistematico e continuato, in un certo numero di zone del territorio italiano, dei valori limite fissati per le particelle PM10 dalla direttiva 2008/50 “Qualità dell’Aria”.

Secondo la Commissione, infatti, da una parte, dal 2008 l’Italia aveva superato, in maniera sistematica e continuata, nelle zone interessate, i valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 stabiliti nella direttiva. D’altra parte, la Commissione muoveva censure all’Italia per non aver adempiuto l’obbligo ad essa incombente di adottare misure appropriate al fine di garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate.

Ritenendo insufficienti i chiarimenti forniti in proposito dall’Italia nel corso della fase precontenziosa del procedimento, la Commissione Europea il 13 ottobre 2018, aveva proposto dinanzi alla Corte un ricorso per inadempimento.

Nella sentenza pronunciata oggi, 10 novembre 2020, Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 10 novembre 2020, Commissione europea contro Repubblica italiana, Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Direttiva 2008/50/CE la Corte di Giustizia Europea ha accolto il ricorso della Commissione Europea dichiarando che in Italia, dal 2008 al 2017 incluso, i valori limite giornaliero e annuale fissati per le particelle PM10 sono stati regolarmente superati nelle zone interessate ed ha inoltre stabilito che l’Italia non ha adottato in tempo utile le misure in tal senso imposte in quanto il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per le PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni nelle zone interessate prova che il Paese non ha dato esecuzione a misure appropriate ed efficaci affinché il periodo di superamento dei valori limite fissati per le particelle PM10 fosse il più breve possibile.

Secondo la legge europea, l’Italia è ora tenuta a conformarsi senza indugio alla sentenza o ad affrontare multe pesanti.

Il ministro dell’Ambiente italiano Sergio Costa ha affermato che la sentenza non è stata una sorpresa e che l’inquinamento atmosferico è un problema che non è stato affrontato in Italia: “Questo giudizio dovrebbe essere un campanello d’allarme per l’intero governo a fare di più e a fare meglio di quanto abbiamo già messo in atto“, ha detto aggiungendo che l’Italia sta adottando misure per soddisfare gli standard dell’UE, tra cui l’acquisto di scuolabus meno inquinanti, la piantagione di alberi nelle aree urbane e la fornitura di incentivi per aiutare le persone ad acquistare veicoli elettrici.

Ed ha specificato: “La Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia per la cattiva qualità dell’aria, cioè per le polveri sottili, le pm10. L’inquinamento derivante da auto, attività industriali e inceneritori ha sistematicamente superato i limiti consentiti dal 2008 al 2017, un’eredità che fa male, ma che ci aspettavamo. Fa male soprattutto perché lo smog, in Italia, uccide circa 80 mila persone l’anno, secondo i dati Oms. Una strage che non possiamo tollerare ed è per questo che negli ultimi due anni, da quando sono ministro, ho attivato tanti strumenti, insieme alle Regioni, che hanno la competenza e che devono essere attori protagonisti”.

Affermazioni importanti queste, soprattutto per la zona IT1212, quella della Valle del Sacco, in un momento particolarmente delicato in cui ci si aspetta che il decisore politico e i responsabili regionali dimostrino concreta attenzione per un territorio che è anche sito di interesse nazionale in attesa di bonifica.

a cura di M.Gloria Perrella