In giorni in cui è al centro dell’attenzione la discussione sul ruolo svolto dalle particelle fini nella diffusione della pandemia del virus COVID-19, un articolo pubblicato su Forest@, rivista della Società Italiana di Silvicutura ed Ecologia Forestale, a cura di Silvano Fares, Giovanni Sanesi, Giorgio Vacchiano, Fabio Salbitano e Marco Marchetti, considera il ruolo significativo che le foreste urbane potrebbero svolgere nel migliorare la qualità dell’aria ed esamina le specie forestali urbane in base alla loro capacità di ridurre le concentrazioni di particolato o ad aumentare la loro dispersione.

Possibili legami tra particolato ed infezione da COVID-19

I processi di deforestazione, urbanizzazione e frammentazione ecologica e del paesaggio, con le dovute differenze che esistono nelle diverse zone del pianeta, sono riconosciuti come predisponenti e ora determinanti nella trasmissione e fors’anche nella diffusione delle zoonosi.

Esiste una ampia letteratura scientifica sull’inquinamento nelle aree urbane e sulle problematicità che le diverse componenti inquinanti determinano per la salute e la qualità della vita dei cittadini.

Fra queste, le polveri sottili sono fra le componenti maggiormente sotto attenzione nell’indagine sulle cause predisponenti ed i fattori di facilitazione della diffusione pandemica del virus COVID-19.

Sulla base delle osservazioni finora registrate, sembra possa esserci una correlazione tra la diffusione e la letalità dell’infezione da COVID-19 e il livello di inquinamento atmosferico cronico o acuto, anche tenendo conto di altri fattori confondenti.

In effetti, aree come la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna, dove il virus ha presentato la maggiore diffusione, fanno registrare generalmente le maggiori concentrazioni degli inquinanti atmosferici.

È ben noto che l’esposizione ad inquinamento atmosferico ed in particolare alle polveri sottili, l’ozono e gli ossidi di azoto (NOx) favorisce malattie che coinvolgono l’apparato respiratorio e comunque determinano un peggioramento dello stato di salute, pur con numeri che sono difficilmente calcolabili.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) riporta 7 milioni di morti premature all’anno (550.000 morti premature in Europa), numeri ben superiori ai decessi causati direttamente dal COVID-19.

L’Agenzia Ambientale Europea (EEA), che ogni anno produce un report sul rischio di decesso a causa dell’inquinamento, ha stimato 2.9 milioni di morti premature in tutto il mondo per esposizione a PM 2.5 e circa 60.000 morti per l’Italia.

Nel nostro paese, l’ipotesi di un possibile collegamento tra la diffusione del COVID-19 e l’inquinamento atmosferico è derivata dall’elevata presenza di contagi nella pianura padana, zona riconosciuta come una delle aree geografiche più inquinate d’Europa.

Una recente ricerca ha anche riscontrato la presenza di materiale genetico del COVID-19 sul particolato atmosferico campionato in aree particolarmente affette dalla diffusione del virus nel nord Italia. E approfondimenti dello studio cercheranno di stabilire se il particolato può essere vettore del virus nella sua forma attiva e se la traccia del virus riscontrata sul particolato è sufficiente a trasmettere il contagio.

Come possono aiutarci le nostre foreste urbane?

Mentre ci si chiede in che maniera il particolato atmosferico possa essere associato alla diffusione e all’impatto del COVID-19, non possiamo che rilevare con certezza che vivere in aree urbane dove l’inquinamento atmosferico è elevato incide sullo stato di salute generale della popolazione.

Gli alberi, i boschi e la vegetazione urbana in grado di rimuovere una certa quantità di particolato atmosferico diventano allora essenziali nella lotta alla riduzione del particolato

In che modo?

La frazione più grossolana del particolato (PM10) si deposita sulla superficie delle foglie, intrappolata su cuticole, cere e peli di cui molte foglie sono costituite, disperdendosi periodicamente con la pioggia e finendo per la maggior parte nel terreno o nell’acqua superficiale.

La frazione più fine (PM2.5) può anche essere immagazzinata e successivamente degradata dalle foglie attraverso vie che coinvolgono gli stomi.

Gli studi più recenti hanno messo in luce che la rimozione di particolato è direttamente proporzionale alla quantità di biomassa fogliare, pelosità e contenuto di cere.

Inoltre condizioni meteorologiche favorevoli (precipitazione, radiazione solare, umidità, velocità del vento, temperatura e turbolenza) influenzano notevolmente la velocità di deposizione e quindi la capacità delle piante di migliorare la qualità dell’aria.

Come è stato dimostrato, tracce del COVID-19 sono state riscontrate sul particolato atmosferico. È allora ipotizzabile l’utilizzo delle foglie degli alberi, su cui le polveri sottili si depositano, come filtri naturali e come sentinelle di possibili focolai di infezione.

Quali sono le specie forestali che ci aiutano a sequestrate una maggiore quantità di particolato?

È quindi opportuno, dove l’obiettivo sia di massimizzare il sequestro di particolato, andare ad identificare una miscela di specie di conifere e latifoglie ad elevata efficienza di rimozione di particolato e al contempo in grado di adattarsi alle caratteristiche climatiche degli ambienti urbani.

Sono in corso ricerche per definire strumenti più efficaci di scelta delle specie di alberi più idonee in programmi di selvicoltura urbana sulla base della loro propensione specifica a rimuovere particolato di varie dimensioni, in diverse stagioni e in base a diverse morfologie fogliari e di architettura delle chiome.

Ancora sono pochi tuttavia gli studi per quantificare in che percentuale i boschi urbani riescono a rimuovere il particolato. Ad es. uno di questi, condotto a Firenze, ha evidenziato come le foreste urbane possono contribuire a rimuovere fino al 15% del particolato presente in atmosfera. Numeri che possono sembrare esigui: le foreste urbane sembrano abbattere il particolato di pochi punti percentuali. Tuttavia si deve considerare che i parchi urbani producono anche un ‘effetto dispersione’ del particolato, riuscendo a veicolare la dispersione delle polveri lungo strade e margini dei parchi. E una sapiente distribuzione del verde riuscirebbe a creare ambienti a ridotta concentrazione di inquinanti a beneficio dei cittadini.

Foreste e alberi urbani poi hanno anche un importante ruolo importante di supporto terapeutico.

La disponibilità e la possibilità di esposizione al verde è rilevante nella mitigazione di ansia e stress derivati dalla paura del contagio e dall’isolamento. Inoltre assicura la possibilità di praticare attività fisica in ambienti con qualità dell’aria migliore e minor rischio di contagio.

Non è quindi casuale che l’importanza delle foreste urbane e di altri spazi verdi sia ulteriormente cresciuta nelle cronache durante l’attuale pandemia: la possibilità di frequentare liberamente parchi e aree verdi in città è diventata un’icona della libertà negata dalle misure di distanziamento sociale e di quarantena.

Conclusioni

Il patrimonio di verde urbano italiano può e deve essere ampliato quindi non solo per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria, ma anche per un miglioramento della qualità della vita urbana.

Realizzare e mantenere foreste urbane costa relativamente poco e potrebbe attivare una filiera di ‘green jobs’ efficace anche in grado di riassorbire nel contesto lavorativo parte dei disoccupati determinata dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo.

Fonte: Forest@

A cura della redazione di Ancler