Il 4 novembre il segretario di stato americano Michael Pompeo ha presentato alle Nazioni Unite i documenti per ritirare ufficialmente gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi del 2015.

La mossa dell’amministrazione Trump ha meravigliato sebbene già durante la campagna elettorale, prima di insediarsi alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump avesse apertamente dichiarato dubbi e perplessità verso l’emergenza climatica e il surriscaldamento dell’atmosfera terrestre, definendo l’accordo di Parigi, uno dei pilastri dell’amministrazione Obama, un ostacolo e un danno per lo sviluppo dell’economia e per la competitività economica degli Stati Uniti essendo troppo costoso per le imprese americane e un fattore di rischio per migliaia di posti di lavoro nei settori ritenuti inquinanti.

Nell’annunciare la decisione il segretario di Stato americano, Mike Pompeo ha dichiarato che “Gli Usa hanno ridotto tutti i tipi di emissioni e i risultati parlano da soli. Abbiamo scelto di seguire un modello realistico e pragmatico. Un approccio che si basa sul ricorso a un mix di fonti energetiche e di tecnologie efficienti” ribadendo che “gli Stati Uniti fra il 2005 e il 2017 hanno ridotto del 13% le emissioni di gas serra anche se l’economia è cresciuta del 19%”.

Secondo le regole dell’accordo sul clima, il 4 novembre 2019 era la prima data disponibile per consentire al paese di notificare alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCC) l’intenzione di ritirarsi dal patto, vale a dire esattamente tre anni dopo la sua entrata in vigore nel 2016. Per completare la procedura occorrerà un altro anno, e in questo periodo l’attuale richiesta di ritiro non avrà effetti per gli Stati Uniti che dovrebbero formalmente abbandonare l’accordo il 4 novembre 2020, esattamente un giorno dopo le elezioni presidenziali che determineranno se Trump otterrà un secondo mandato di quattro anni come presidente.

La decisione di ritirarsi dall’accordo di Parigi ha suscitato critiche da parte di scienziati e ambientalisti. Alden Meyer, direttore della strategia e della politica del gruppo di difesa dell’Union of Concerned Scientists in una nota ha dichiarato che: “La decisione del presidente Trump di abbandonare l’accordo di Parigi è irresponsabile e miope“. E come affermato da Andrew Light, che ha lavorato all’accordo presso il Dipartimento di Stato americano sotto l’ex presidente Barack Obama, il ritiro dall’accordo sul clima di Parigi costerà parecchio agli Stati Uniti a livello mondiale in termini di influenza politica ed economica, mentre già altre nazioni portano avanti progetti e programmi per sviluppare un’economia a basse emissioni di carbonio.

Ma la decisione ovviamente potrebbe cambiare nel caso in cui Trump non fosse rieletto. Infatti, i candidati presidenziali democratici stanno prendendo sul serio il cambiamento climatico e se uno di loro vincesse le elezioni del 2020, potrebbe riportare gli Stati Uniti nell’accordo una volta entrato in carica nel gennaio 2021. Questo perché i paesi che lasciano l’accordo di Parigi possono ricongiungersi al patto 30 giorni dopo aver informato l’UNFCC delle loro intenzioni. E se vincessero i democratici gli Stati Uniti saranno sotto pressione da più parti per agire in tal senso e il più rapidamente possibile.

Se invece Trump venisse confermato alle elezioni presidenziali e l’amministrazione statunitense confermerà l’uscita dall’accordo di Parigi, in questo caso spetterà agli stati membri e alle imprese statunitensi il mantenere la leadership in materia di cambiamenti climatici.

M.Gloria Perrella
15/11/2019